Stigma è un termine che viene utilizzato per descrivere un marchio, un segno o una credenza negativa che viene associata a una persona o a un gruppo di persone a causa di un tratto o di una condizione specifica.
La parola stigma, dal latino stigma (marchio), nell’ambito della psicologia sociale indica una “attribuzione di qualità negative a una persona o a un gruppo di persone” (Treccani). Spesso questo concetto sembra inserirsi anche nell’ambito delle malattie, soprattutto, in quelle croniche.
Già nel mondo latino il sostantivo stigma, analogamente al greco stìgma da cui deriva, voleva dire ‘bollatura‘, ‘marchio‘ (spesso con riferimento al segno impresso sul corpo degli schiavi), e quindi, in senso figurato, ‘marchio d’infamia‘.
Secondo Goffman, la vita sociale si fonda sulla demarcazione dei confini tra palcoscenico e retroscena, tra di loro in situazione di incongruenza.
Fu il sociologo canadese Erwin Goffman (1970) a teorizzare il concetto di stigma, adottato dalla psichiatria sociale per definire l’insieme di pregiudizi negativi attribuiti alle persone con problemi psichici a causa del loro disturbo e che determinano rifiuto, discriminazione ed esclusione.
Lo stigma si divide in istituzionale, sociale ed interiorizzato.
Lo stigma del peso
Lo stigma sul peso corporeo è una forma di discriminazione diffusa e comunemente accettata (Puhl & Brownell, 2003). L’ideale di magrezza, indice di piacevolezza e successo nella cultura occidentale (Heuer, McClure, & Puhl, 2011), si contrappone all’obesità, che è invece associata a pigrizia, scarsa competenza e volubilità (Himmelstein & Tomiyama, 2015; Puhl & Heuer, 2009).
Tali stereotipi sminuiscono il valore delle persone in sovrappeso/con obesità, creano pregiudizi e innescano comportamenti discriminatori che compromettono la qualità di vita delle persone interessate (Pont, Puhl, Cook, & Slusser, 2017; Puhl, Himmelstein, & Pearl, 2020).
La teoria delle attribuzioni causali (Puhl et al., 2015). Secondo tale teoria, nonostante l’obesità abbia un’eziologia multifattoriale, le persone ritengono che il peso corporeo dipenda principalmente, se non unicamente, dal comportamento personale e valutano il peso in eccesso come una responsabilità (o una colpa) individuale (Brewis, 2014; Khan, Tarrant, Weston, Shah, & Farrow, 2018).
Oltre alle attribuzioni causali, anche i valori culturali hanno un ruolo significativo nella presenza degli atteggiamenti sul peso: ad esempio, l’accettazione sociale dello stigma (Puhl, Schwartz, & Brownell, 2005) o l’ideale di un corpo magro per le donne e tonico per gli uomini (Heuer et al., 2011) contribuiscono a sottostimarne la gravità e a legittimare le discriminazioni nei confronti di coloro che si discostano dal modello di peso corporeo ideale (Nutter, Russell‑Mayhew, & Saunders, 2020; Puhl et al., 2005).
I primi atteggiamenti negativi sul peso
Gli atteggiamenti negativi sul peso appaiono molto prima di avere la capacità di esprimerli o, addirittura, di esserne consapevoli. Già a 32 mesi, i bambini mostrano una preferenza per le immagini con peso nella norma (le osservano più a lungo rispetto a quelle con obesità) e tale preferenza è in relazione con quella delle madri: tanto più negativi sono i loro atteggiamenti sul peso, tanto maggiore sarà l’attenzione preferenziale dei loro bambini per le figure con peso nella norma (Ruffman, O’Brien, Taumoepeau, Latner, & Hunter, 2016).
In età prescolare i bambini diventano più consapevoli delle loro preferenze personali e sembrano averne anche per il peso (Harriger, Trammell, Wick, & Luedke, 2019; Kornilaki, 2014): nei compiti di attribuzione ,associano caratteristiche positive (es. simpatico/a) a immagini o bambole con peso nella norma e caratteristiche negative (es. dispettoso/a) a quelle in sovrappeso. Gli atteggiamenti sono più negativi quando il bambino ha 5 anni anziché 3 e lo diventano ancora di più in età scolare, un periodo in cui le norme culturali sul peso corporeo sono ben interiorizzate (Harriger et al., 2019; Hutchison & Müller, 2018; Rex‐Lear, Jensen‐Campbell, & Lee, 2019).
Di seguito e fino all’età adulta, gli atteggiamenti sul peso si stabilizzano o diminuiscono, pur rimanendo presenti e culturalmente condivisi (Latner & Schwartz, 2005).
Gli atteggiamenti e il peso corporeo
Le ricerche indicano che gli atteggiamenti sull’obesità sono indipendenti dal peso corporeo di chi li esprime (e.g., Puhl & Latner, 2007; Rex‐Lear et al., 2019; Wang, Brownell, & Wadden, 2004): adulti e bambini con peso in eccesso non solo valutano in modo negativo le persone con obesità (“credo che le persone con obesità siano di poco valore”), ma ritengono che tali credenze siano valide anche per se stessi (“la mia obesità mi rende di poco valore”). Questo costrutto, noto come interiorizzazione degli atteggiamenti sul peso, è diverso dagli atteggiamenti sul peso, sebbene siano fortemente correlati (Durso & Latner, 2008): se i primi si rivolgono al sé e riguardano le persone in stato di sovrappeso e obesità, i secondi sono orientati verso gli altri e non cambiano a seconda del peso corporeo (Puhl & Himmelstein, 2018; Zuba & Warschburger, 2017).
Alla luce di un’analisi approfondita di queste ricerche, presso lo Studio Fisicamente, l’obiettivo delle psicoterapeute in associazione all’intervento professionale della dietista è strutturare una sorta di protocollo terapeutico, al fine di poter aiutare i propri pazienti ad interrompere il meccanismo pregiudizievole dello stigma del corpo. Di conseguenza, permettere alla persona con disturbi dell’alimentazione o in difficoltà con la sua immagine corporea di avere un trattamento terapeutico ad hoc, soprattutto analizzando la sua storia personale, familiare a volte traumatica a causa del proprio peso, ovviamente in termini di magrezza e/o di obesità.
Inoltre, l’obiettivo è quello di coinvolgere, per quanto possibile, le persone più vicine al paziente che, loro malgrado, possano aver contribuito, certo involontariamente, a costruire lo stigma che il paziente ha nei suoi stessi confronti.
– [ ] Ti amo e mi piaci così come sei…
– [ ] Non ho smesso di amarti perché dopo la gravidanza hai preso o perso troppi chili
– [ ] La nostra intimità può essere cambiata da quando siamo diventati genitori, ma ti posso garantire, non a causa, del cambiamento del tuo corpo.
– [ ] Anche se da bambina/o sei sempre stata “rotondetto”/“rotondetta”, non significa che tu sarai così per tutta la tua vita e soprattutto questo non dev’essere il tuo parametro di bellezza.
– [ ] Da bambina/o eri molto magra, perché non mangiavi tanto, ma abbiamo fatto degli esami e abbiamo scoperto che il tuo problema non era l’alimentazione ma un difetto tiroideo.
– [ ] Da bambina/o eri “in carne” e non ti sentivi bene con il tuo corpo. Abbiamo fatto delle visite e sei stata curata per un problema di salute che non ha mai avuto nulla a che fare con l’alimentazione.
Questi sono solo alcuni degli stimoli e rassicurazioni che le persone vicine al paziente possono utilizzare per aiutare a sbloccare un meccanismo di stigma.
Un aspetto altrettanto importante è l’utilizzo della terminologia nel momento in cui si fa riferimento ad una persona con difficoltà ad accettare la propria condizione corporea.
Più i termini sono delicati e ricchi di dettagli e meglio vengono accolti dalla persona a cui ci si rivolge. Ciò deve avvenire da parte del terapeuta, della dietista e dalla famiglia.
Lo stigma inoltre porta a meccanismi di difesa psicologici, a volte difficili da scardinare. Nel dialogo interno, il paziente tende a pensare e a dire di sé parole e frasi che tendono a cronicizzare lo stigma stesso.
– [ ] Non sarò mai bella/o come vorrei perché non perderò mai i chili di troppo.
– [ ] Sarò bella/o solo quando perderò i chili che ho messo su durante la gravidanza.
– [ ] Mio marito/mia moglie mi ha lasciata/o perché sono ingrassata/o
– [ ] Non troverò un compagno finché non perderò 10 kg
– [ ] Nessuno potrà mai amare un corpo così magro, sembro uni scheletro.
Questi sono solo alcuni esempi nei quali si evidenzia la terminologia forte e inesorabile che il paziente vive dentro di sè in termini di attribuzione assoluta, come se non ci fosse possibilità di cambiamento.
L’obiettivo dei professionisti dello Studio Fisicamente è proprio quello di interrompere questi meccanismi cronici e contemporaneamente aiutare il paziente ad uscire da questo genere di empasse psicologico, ma altresì legato alla propria immagine corporea.